Quando l’impresa ti toglie il sonno: la storia di un imprenditore toscano che ha scelto di cambiare rotta

Ci sono notti in cui un imprenditore edile non dorme.

Non per l’adrenalina di un nuovo cantiere, ma per l’ansia di una telefonata che potrebbe arrivare in qualsiasi momento: la banca, il fornitore, l’Agenzia delle Entrate, il commercialista.

Per chi vive d’impresa, l’insonnia non è un sintomo: è un allarme.

E Giulio (nome di fantasia), titolare di una piccola azienda edile in Toscana, quell’allarme lo sentiva da tempo.

Negli ultimi anni la sua attività aveva perso fiato, lavorava senza tregua, ma i conti non tornavano più.

Le banche lo chiamavano, i clienti ritardavano (qualcuno tirava anche qualche “chiodo”), e la cassa era sempre vuota. Un classico scenario da stress finanziario: quando la mente è stanca, ma il cuore continua a credere nel lavoro.

Giulio gestiva due società. La prima, storica, nata oltre quindici anni fa, rappresentava la parte sana e concreta della sua vita professionale: cantieri, clienti, edilizia vera. La seconda, creata più di recente, doveva occuparsi di progetti di ingegneria e consulenze tecniche.

Sulla carta, un passo verso l’innovazione.

Nella realtà, un peso crescente.

Quella società — che chiameremo “Beta” — era nata in un momento in cui tutto sembrava possibile, nel pieno del fermento legato al Superbonus 110%.

Ma con il blocco dei crediti e il rallentamento dei pagamenti, la situazione si era capovolta in fretta: i lavori si fermavano, le fatture restavano sospese, e i mutui aperti iniziavano a pesare come macigni.

Le due aziende avevano cominciato a incrociare conti e rapporti, fino a trovarsi legate da un credito e un debito reciproco di oltre 200.000 euro. Un legame che, invece di unire, stava trascinando entrambe verso il basso. Giulio lo sapeva: una delle due andava chiusa, ma non aveva mai trovato il coraggio di farlo.

Quando siamo arrivati, non cercava un miracolo ma capire se c’era un modo per fermare la discesa. Durante il colloquio, il suo telefono squillava di continuo: clienti, fornitori, il cantiere, la banca.

Ogni chiamata sembrava ricordargli che il tempo stava scadendo.

Aveva mutui in corso, rate insostenibili e interessi che, forse, andavano oltre i limiti di legge. Ne parlava con una voce stanca ma lucida, quella di chi è abituato a lottare.

“Non voglio fallire, voglio solo respirare”.

È bastata quella frase per capire che non cercava una scorciatoia, ma una direzione.

La prima cosa emersa dall’analisi è stata semplice quanto dura da accettare: la seconda società non aveva più ragione di esistere.

Era un contenitore vuoto, un rischio inutile che avrebbe potuto trascinare anche l’attività principale. La decisione, dunque, è stata netta: liquidare Beta Srl.

In parallelo, abbiamo avviato il lavoro anche sulla società principale.

L’obiettivo non era “sistemare” i debiti, ma ristrutturarli in modo sostenibile, accedendo a una procedura del Codice della Crisi d’Impresa.

Una scelta che, per molti, suona come un allarme, ma che in realtà è una protezione legale e organizzativa: blocca le azioni, sospende i pignoramenti, e permette di rimettere ordine nelle priorità.

Quando Giulio ha capito che il piano non significava chiudere, ma ripartire in sicurezza, qualcosa in lui è cambiato.

Per la prima volta, vedeva un orizzonte.

Durante le settimane successive, è iniziato un lavoro intenso. Sono stati raccolti i contratti di mutuo, verificate le condizioni, ricalcolati i tassi d’interesse e individuate possibili anomalie. In alcuni casi, i tassi effettivi superavano le soglie di legge previste dalla normativa sull’usura bancaria.

Questo avrebbe potuto aprire la strada a una revisione giudiziale dei contratti e, in prospettiva, a un recupero importante di risorse.

Ma il vero cambiamento non è stato nei numeri: è stato nell’atteggiamento: Giulio ha smesso di reagire d’impulso e ha iniziato a pianificare.

Chi fa impresa in Toscana sa che la parola “resistere” ha un peso particolare. È una terra in cui l’artigianalità, il lavoro e la reputazione valgono più di mille parole. E proprio da questa mentalità è nata la rinascita di Giulio: quella dignità toscana che non accetta di fuggire, ma sceglie di rimettere ordine e ricominciare.

È questa la frase che Giulio ha detto prima di firmare l’incarico. “Domani iniziamo” — non domani speriamo, o domani vediamo: iniziamo. Quel giorno non ha cambiato solo i conti della sua azienda, ma la prospettiva con cui guarda alla vita.

La storia di Giulio non è un caso isolato, purtroppo.

È la storia di molti imprenditori che, dopo anni di sacrifici, si ritrovano schiacciati da burocrazia, tassi, ritardi e solitudine. Ma è anche la dimostrazione che la crisi non è una condanna: è un segnale. Un campanello che suona per dire che è ora di cambiare strada.

Profiqua, in questo, non è solo un team di consulenti: vuole essere un punto di riferimento per chi non vuole più navigare a vista.

Un lavoro che parte dai numeri, ma arriva necessariamente alle persone, perché la serenità imprenditoriale non nasce da un conto in banca, ma da una visione chiara del futuro.

Giulio ha davanti mesi di duro lavoro, ma anche una nuova consapevolezza: che la paura non si cancella, si affronta; che chiudere ciò che non funziona è l’unico modo per far rinascere ciò che vale; che chiedere aiuto, a volte, è il gesto più forte che un imprenditore possa fare.

Oggi la sua impresa, toscana e orgogliosa, ha ricominciato a respirare. E con lei, un uomo che ha riscoperto il significato della parola “domani”.

E la tua azienda, se continui così, che domani avrà?

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